
Il mondo del lavoro sta attraversando profondi mutamenti: non si tratta solo di nuove tecnologie, della sempre più massiccia presenza del web, di modelli organizzativi più efficaci, ma di una diversa visione del ruolo e della motivazione dei singoli lavoratori, che riguarda in particolare i più giovani, i cosiddetti millennials. Se prima avanzamenti di carriera, aumenti di stipendio, benefit potevano creare nel personale un livello di motivazione tale da garantire impegno e dedizione al lavoro, oggi soprattutto i più giovani sentono il bisogno di trovare stimoli diversi, di raggiungere una forma di autorealizzazione fondata sul trovare significato e scopo alla propria attività. Vogliono capire quali opportunità di sviluppo e di formazione vengono loro offerte, devono sentire che stanno acquisendo conoscenze e competenze, che il loro potenziale può esprimersi al meglio.
D’altra parte anche le aziende hanno bisogno di un capitale umano capace di rispondere alle sfide di un mondo sempre più globalizzato. Quindi anch’esse sono alla ricerca di nuovi strumenti per individuare le conoscenze e le competenze attese in una determinata mansione e organizzare corsi e attività di formazione per chi non ne è ancora in possesso. Ma come si fa ad identificare queste competenze da potenziare?
Una possibilità è partire dall’individuazione delle competenze distintive di un’impresa, cioè quelle competenze e quelle risorse che la distinguono dalle altre. Negli ultimi anni si tende a vederle come i comportamenti che manifestano nella realtà lavorativa quotidiana i cosiddetti best performer, cioè i lavoratori che soddisfano al massimo grado ogni livello di competenza specifico di una mansione. Questi comportamenti si fondano su precise conoscenze e abilità, su sicura motivazione e provata esperienza.
Una determinata mansione richiede conoscenze e competenze di base comuni ad altre, ma anche competenze specifiche: entrambe riguardano aspetti tecnici, relazionali, gestionali. Un recente lavoro dell’Unioncamere (F.Filoni, Il manuale dei profili di competenza, 2012) propone un modello dei profili di competenza che comprende tre aree: le conoscenze generali, le conoscenze specialistiche e le competenze comportamentali. Queste ultime assumono un ruolo particolarmente significativo, poiché esprimono la “padronanza applicativa” delle conoscenze, cioè “l’insieme dei comportamenti lavorativi che consentono di mantenere un’efficace dimensione tecnica del lavoro”. Esse includono soft skills, come leadership e capacità di negoziazione, team management, creatività e proattività, ed anche aspetti emozionali, come intelligenza emotiva, autostima e gestione dello stress.
Per mezzo dei best performer si possono individuare le competenze richieste per una determinata mansione, stabilire il livello atteso di ciascuna di esse e creare così dei profili di competenza. L’HR può selezionare chi necessita di formazione in una o più aree: attraverso una gap analysis dei dipendenti rispetto al campione di riferimento di quel profilo, potrà pianificare corsi mirati a sviluppare le conoscenze e competenze necessari.
Il vantaggio è evidente sia per l’azienda che per i dipendenti: la prima potrà aspirare a performance migliori, i secondi vedranno soddisfatto il desiderio di miglioramento e di espressione del proprio potenziale. Sentiranno così più raggiungibile quella realizzazione di sé che costituisce ormai la migliore motivazione al lavoro.
In HR-Assistant abbiamo realizzato strumenti per l’applicazione della metodologia descritta che facilitano il lavoro dell’HR manager e gli permettono di presentare con chiarezza ed evidenza i risultati ottenuti.