L’epidemia di coronavirus che stiamo vivendo ha accelerato il processo di diffusione dello smart working, oggi tradotto con “lavoro agile”, apparso già negli anni Settanta del secolo scorso sotto la forma di telelavoro. In realtà i due concetti non sono pienamente sovrapponibili: lo smart working sfrutta l’attuale ampliamento delle reti internet e degli strumenti di connessione, dai computer agli smartphone, ai tablet, consentendo di utilizzare una postazione di lavoro libera, la propria abitazione o un luogo esterno pubblico o privato, purché dotata di connessione dati. La legge 81/2017 ha stabilito basi normative a questa nuova modalità di lavoro, ponendo l’accento su flessibilità organizzativa e volontarietà delle parti (azienda e lavoratore). E’ garantita, inoltre, allo smart worker uguaglianza di trattamento rispetto a chi lavora con modalità ordinarie anche nei casi di infortunio e malattie professionali.
La crescita dello smart working
L’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano (nato nel 2012) monitora annualmente la diffusione in Italia di questo nuovo modello lavorativo. Se nel 2018 si stimava che gli smart worker fossero circa 480.000, il 2019 ha visto un incremento del numero a quota 570.000. Le grandi aziende sono partite prima, ma anche le PMI e la Pubblica Amministrazione hanno incominciato a mettere in atto in questi ultimi anni progetti di smart working formale (12% degli enti pubblici) o informale (18%).

L’emergenza Covid-19 ha portato una serie di decreti governativi e regolamenti (D.L.17 marzo 2020 n.18, convertito nella Legge 27/2020, D.L. 34 del 19 maggio 2020; DPCM 26 aprile 2020) volti a semplificare le procedure per l’attuazione dello smart working. Di conseguenza la sua applicazione si è estesa: l’indagine Infojobs Smart Working 2020 (marzo 2020, effettuata su 189 aziende e 1149 candidati) ha rilevato che il 72% delle aziende aveva introdotto questa modalità di lavoro, con più della metà che la attivavano per la prima volta. Uno studio di CGIL e Fondazione Di Vittorio stima in 8 milioni i lavoratori così impiegati negli ultimi mesi. Altri abbassano la stima alla metà, ma l’incremento rispetto al passato è comunque elevatissimo.
E il futuro? Nell’ambito bancario il modello smart working sembra avviarsi a diventare la norma. A Londra, la società di asset management Schroders ha deciso di attivare il lavoro flessibile tutta la settimana in modo permanente. La Regione Lombardia ha indetto un bando che stanzia 4,5 milioni di Euro a fondo perduto per progetti di smart working. La ministra per la Pubblica Amministrazione, F.Dadone, ha l’obiettivo di mantenere un 30-40% del personale in smart working e incrementare tale quota nel 2021.
Software per smart working e gestione dipendenti
Di conseguenza le aziende devono attrezzarsi, e in tempi brevi. Non mancano gli strumenti di comunicazione sincrona, quelli per l’archiviazione di documenti, tool per videoconferenze, ecc. Ma è sempre più importante dotarsi di piattaforme HR che consentano la rilevazione presenze, la gestione di ferie e permessi, trasferte e note spese del personale in cloud. Anche la comunicazione tra capi e dipendenti deve trovare nuove modalità, come ad esempio una chat aziendale, dal momento che whatsapp o telegram vanno utilizzati solo per l’ambito privato.
Le nuove sfide riguardano il monitoraggio a distanza dei progetti, l’autonomia organizzativa e operativa che deve acquisire il lavoratore: perciò diventano necessari software di pianificazione e di rendicontazione progetti per mantenere visibilità sull’andamento del lavoro, anche da remoto.
HR-Assistant propone in modo integrato e in cloud questi strumenti e permette quindi di affacciarsi con cauto ottimismo a un futuro ricco di stimoli ma anche di incognite, verso le quali non si è mai abbastanza preparati.