“Fantozzi subisce ancora”, film cult del 1983: l’impiegato bullizzato per eccellenza, il ragionier Ugo Fantozzi, si ritrova oberato di lavoro per sostituire i colleghi nullafacenti e assenteisti, che vanno a divertirsi o a svolgere un secondo lavoro. E, naturalmente, alla fine la colpa ricade su di lui.
E’ normale che i dipendenti si assentino qualche volta, per visite mediche, assistenza a figli o genitori anziani, o per altre ragioni: il problema è quando il numero di assenze diventa eccessivo, sia perché porta un danno alla produttività, sia perché può essere indice di un malessere interiore.
Qualche numero sull’assenteismo
Distinguiamo l’assenza dall’assenteismo patologico. In questo secondo caso il dipendente effettua frequenti assenze brevi e accampa pretesti per motivarle: l’azienda rallenta la sua produttività e gli altri lavoratori devono farsi carico dei ritardi. Tuttavia, nel calcolo delle percentuali di assenteismo, spesso si considerano insieme tutti i tipi di congedo, per cui non è facile rendersi conto della situazione reale.
Vediamo qualche dato.
Secondo il Dipartimento del Lavoro statunitense, nel 2017 l’assenteismo si è attestato in media al 3% giornaliero. Il Centers for Disease Control and Prevention ha valutato quindi la perdita annuale di produttività in 225,8 miliardi di dollari, ovvero 1.685 dollari a dipendente.
Nel Regno Unito, un’analisi del Centre of Economic and Business Research, sempre nel 2017, ha stimato il costo delle assenze non autorizzate in 18 miliardi di sterline, cifra che potrebbe raggiungere i 26 miliardi entro il 2030.

Ancora: Ayming, nell’indagine del 2017 (Barometro sull’Assenteismo e il Coinvolgimento) che ha coinvolto otto Paesi europei, ha intervistato un campione di responsabili HR e dipendenti di aziende con più di 9 addetti. L’Italia è risultato il Paese meno assenteista, con il 5,49% contro il 6% della Spagna, il 6,21% del Portogallo, il 7% della Francia. Tuttavia, solo il 46% dei dipendenti italiani ha dichiarato di non aver effettuato assenze nell’ultimo anno, contro valori superiori all’80% per britannici, olandesi e tedeschi. Può sembrare che i conti non tornino, ma noi li facciamo in un altro modo, includendo nel totale i congedi parentali, le malattie e gli infortuni, diversamente dagli altri Paesi.
Uno studio del 2019 basato sul rapporto EWCS (European Working Conditions Survey), l’ultimo completato a causa dell’insorgere della pandemia di Covid-19, riscontra il tasso più elevato di assenteismo nell’industria, seguita a breve distanza da costruzioni e trasporti. Ai valori minimi si collocano il settore finanziario e immobiliare. Inoltre, esso cresce proporzionalmente con le dimensioni dell’azienda: rispetto alle Piccole Imprese, le Medie (50-249 addetti) hanno il 5,1% in più, le Grandi (sopra i 250 addetti) il 9,8%. Evidentemente, quando il numero dei dipendenti è basso, ogni presenza è vitale.
Infine, un rapporto di Confindustria del 2020 (Monitoraggio del fenomeno delle assenze dal lavoro nel 2019) riporta che, dato un numero medio di 1600 ore lavorabili pro-capite, quelle perdute sono 105, con un tasso di assenteismo del 6,6%. Poca la differenza tra industria e servizi (rispettivamente 6,4% contro 6,8%), e anche in questo caso si osserva un incremento al crescere della dimensione aziendale (7,3% nelle imprese con più di 100 addetti contro il 3,7 di quelle fino ai 15). L’incidenza delle assenze risulta maggiore nelle donne, ma la differenza si spiega con i congedi parentali, più frequenti per le madri.
Pandemia e assenteismo
Come ha influito la pandemia sull’assenteismo?

E’ significativo il sondaggio di IFOP per Malakoff Humanis, effettuato tra fine agosto e fine settembre 2020 su un campione di 2008 dipendenti e 405 manager o responsabili HR francesi. Il numero di assenze brevi è diminuito nel corso del 2020, probabilmente per effetto del confinamento e dell’orario ridotto legati al Covid-19. Sono invece aumentate del 33% le assenze oltre i 30 giorni, con una durata media di 94 giorni. I congedi lunghi hanno così raggiunto il 12% del totale delle assenze per malattia, contro il 9% del 2019, e hanno riguardato per quasi la metà dipendenti di 50 anni e più. Infine, il 60% delle imprese ha avuto almeno un dipendente in congedo a lungo termine, valore che sale all’83% in quelle con più di 50 addetti. Non sono inclusi nel computo i congedi parentali o quelli delle persone “fragili”.
Le conseguenze: i manager intervistati hanno rilevato difficoltà organizzative, aumento dei costi di gestione, impatto sulla motivazione degli altri dipendenti e sulle prestazioni complessive dell’azienda. Tre quarti dei responsabili propongono come soluzione palliativa l’uso dello smart working al posto del congedo per malattia, previo assenso del medico.
L’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, ha rilevato nel 2020 una diminuzione delle ore di lavoro a causa della cassa integrazione temporanea, che ha coinvolto 3,9 milioni di persone, contro le cinquecentomila del 2019: il totale è quindi sceso di quasi un quinto in Grecia, Spagna, Portogallo e Italia. La campagna vaccinale partita nei primi mesi del 2021 ha migliorato la situazione: nel terzo trimestre le ore lavorate sono tornate al livello del 2019. Bulgaria e Romania hanno registrato tra gennaio e settembre 2021 l’assenteismo più basso, che non ha mai superato il 4% degli occupati.
Veniamo infine all’Italia: l’Osservatorio 2020 di Abbrevia e GIDP ha effettuato un’indagine sulla gestione dell’emergenza in 80 aziende del settore industriale e dei servizi, per lo più del Nord-Ovest con almeno 150 addetti. Le assenze risultano in calo rispetto al 2019, probabilmente per l’incremento del lavoro a distanza: il tasso, al netto di ferie e permessi, si attesta ad un 3,5% medio, con punte maggiori nelle aziende più grandi. In media si tratta di assenze di 2,1 giorni: il 40% è qualificabile come “assenza tattica”, perché a ridosso del fine settimana.
Le cause
Molti studi dimostrano il legame tra assenteismo e problematiche psico-sociali. L’assenza ripetuta per malattia può essere legata a reali problemi di salute, ma anche ad un malessere dovuto all’ambiente di lavoro.
Richieste pressanti e ritmi eccessivamente elevati possono aumentare i fattori di stress, con un effetto più significativo sui dipendenti a tempo indeterminato. Sembra giocare un ruolo anche il controllo da parte dei supervisori: quando è basso, l’assenteismo aumenta.
REHALTO, azienda francese specializzata nello sviluppo del benessere lavorativo, ha approfondito le cause dell’assenteismo partendo da un’indagine di BVA Institute realizzata nel 2019. Il campione ha incluso 301 direttori HR e 1505 lavoratori.

Al di là delle differenze specifiche legate a dimensione aziendale, età e ruolo, la causa primaria delle assenze è apparsa riconducibile per il 29% a problemi emotivi (il 19% al burnout, il 10% a disturbi psicologici).
E allora? Evidentemente è importante coinvolgere e motivare i dipendenti: quanto più essi si sentono parte dell’impresa, tanto più vorranno collaborare al suo successo. Per questo nella gestione dell’assenteismo il responsabile HR può giocare un ruolo chiave: spetta a lui supportare la direzione nell’elaborazione di una strategia per l’inclusione dei lavoratori, che deve necessariamente passare attraverso la formazione e la qualità dei processi.
Intervenire sull’assenteismo richiede però la raccolta di dati sempre aggiornati e completi, perché HR e responsabili possano facilmente individuare le anomalie. La piattaforma HR-Assistant offre vari strumenti per farlo: moduli per la rilevazione presenze e la gestione di ferie e permessi, dotati anche di cruscotti interattivi, o anche il feedback continuo, nato proprio per tenere sotto controllo la motivazione dei dipendenti.